Sono ormai un paio di mesi che in città si è appreso della delicata vicenda in cui è coinvolto un sacerdote della diocesi di Cosenza. Questo sacerdote è accusato di molestie sessuali da un ragazzino di undici anni suo alunno nella scuola media “Zumbini” di via Roma.
Il nome della scuola non lo aveva ancora fatto nessuno sui media ma in città lo conoscono tutti. Esattamente come il nome del prete. Ci siamo fatti mille domande e ci siamo dati mille risposte circa l’opportunità di dare o non dare questo benedetto nome. Oggi però siamo arrivati alla conclusione che non faremmo pienamente il nostro dovere se non lo rivelassimo.
Il prete si chiama don Roberto Ruffolo. E’ nato a Cosenza il 6 giugno del 1964 e, dunque, ha superato da un po’ la soglia dei cinquant’anni. E’ stato ordinato sacerdote il 1° dicembre del 1990. Ha insegnato per molto tempo Religione alla “Zumbini” di via Roma (ora ci fanno sapere che si è licenziato dopo lo scandalo, anche se il suo nome non è mai uscito sui media: mossa “tattica”?) e non ha una parrocchia stabile di riferimento. Diciamo pure che è stato (ed è) un po’ ramingo. Qualcuno lo ricorda parroco a Cerisano, qualcun altro in una parrocchia cittadina. Tuttavia, in molti riferiscono di averlo conosciuto negli ultimi anni nella sua qualità di cappellano all’ospedale Mariano Santo.
La diocesi di Cosenza non solo lo conosce benissimo ma continua a difenderlo facendo sì che il suo nome rimanga segreto e tutelandolo in tutte le maniere possibili.
Fino a prova contraria non si può dire che sia colpevole e non lo scriviamo neanche noi.
Tuttavia, non possiamo non prendere atto dei privilegi di cui sta godendo rispetto a persone che, magari anche innocenti, vengono sbattute in prima pagina senza troppi problemi. Tanto per non andare troppo lontano, potremmo citare il caso di Padre Fedele Bisceglia. Che, beninteso, è a conoscenza da una vita della disavventura di Ruffolo ma che non ha mai voluto specularci sopra e ci aveva quasi imposto di non dire o scrivere nulla proprio per evitare strumentalizzazioni.
Don Roberto Ruffolo ha anche avuto (sinceramente non sappiamo se ce l’ha ancora) un incarico prestigioso dalla diocesi cosentina. Nel loro gergo, si dice che fa parte del presbitèrio s. m. [dal lat. tardo (eccles.) presbyterium «collegio dei preti» (gr. πρεσβυτέριον, propr. «consiglio degli anziani», der. di πρεσβύτερος: v. presbitero)]. Insomma, è uno che ha la dignità sacerdotale.
Nell’organizzazione delle chiese presbiteriane, il presbiterio è il consiglio dei membri della chiesa. E Ruffolo, ancora oggi, sul sito della diocesi di Cosenza viene indicato come “Delegato Arcivescovile per la Pastorale della Salute”.
L’incidente probatorio si svolgerà lunedì prossimo: il ragazzino sarà ascoltato in audizione protetta in presenza di psicologi. E anche in presenza del prete, che ascolterà però in un’altra stanza, e che potrà intervenire tramite il suo legale.
Intanto, proseguono le indagini su don Roberto Ruffolo, difeso dall’avvocato Rossana Cribari.
Tutto iniziò lo scorso mese di novembre quando gli agenti della Mobile, guidati dal dirigente Giuseppe Zanfini, perquisirono la casa del sacerdote e sequestrarono materiale informatico e altri documenti.
Un accertamento seguito dopo un esposto presentato in procura dai familiari del piccolo che vive in una casa famiglia. Secondo quanto emerso, il ragazzino avrebbe riferito a un assistente sociale e poi ai suoi parenti di alcuni palpeggiamenti e attenzioni particolari subite dal sacerdote, suo professore di religione, durante le pause delle lezioni. Ma sarebbero state le suore della casa famiglia a convincere i familiari a presentare denuncia.
E’ giusto e sacrosanto avere dei dubbi sulla veridicità delle accuse delle suore e del ragazzino. Ma almeno facciamolo a viso aperto. Non con la solita equazione: forti con i deboli e deboli con i forti.E quindi chiamando le cose con nome e cognome. Ed evitando, per carità, di accostare il caso di Ruffolo a quello di Padre Fedele. E’ un tentativo penoso di scaricare le eventuali colpe del prete paragonandolo al martire della situazione, cioè il monaco. Con la differenza che Padre Fedele non solo ha pagato per colpe non sue ma ora viene usato anche come paravento per difendere altri. Insomma, il colmo dei colmi. Con tanto di giornalisti asserviti che si prestano ai “paragoni”…
Non ce ne vogliano i genitori del ragazzino se oggi pubblichiamo il nome del prete ma il rischio è che iniziando la solita tarantella dei media asserviti ai poteri forti, la chiesa metta a tacere con la solita grande abilità lo scandalo.
Ci si lamenta giustamente della massoneria deviata. E perché non si parla della chiesa corrotta e deviata? Così facendo, diffondendo cioè il nome del prete, sarà più difficile per il Potere agire sottobanco per l’insabbiamento.
Sono cose che purtroppo abbiamo già visto.
http://www.iacchite.com/ecco-chi-e-il-prete-indagato-per-molestie-dalla-procura-di-cosenza/
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