Viaggio nel silenzio degli abusi nella nostra Regione.
Quelli acclarati sono una ventina, ma in Sicilia i casi di abusi su minori da parte di sacerdoti sono probabilmente molti di più. Una certa cultura della vergogna, la tendenza a colpevolizzare la vittima (anche quando si tratta di bambini) e la sfiducia nelle istituzioni e nella giustizia, fanno sì che gran parte del fenomeno resti sommerso.
Il caso più “famoso”, in questo senso, è probabilmente quello di Marco Marchese, che qualche anno fa partecipò alla trasmissione Mi manda Raitrè. Davanti alle telecamere, raccontò gli abusi subiti in seminario da don Bruno Puleo, raccontò di come l’arcivescovo Ferraro, pur informato dei fatti dallo stesso Marco, non prese alcun provvedimento se non raccomandare l’assoluto silenzio e di “dimenticare”. Con la conseguenza che altri seminaristi furono abusati dallo stesso sacerdote. E quando denunciò tutto in procura, la Curia pensò bene di chiedere a Marco (allora poco più che sedicenne) duecentomila euro per il danno all’immagine arrecato alla chiesa agrigentina.
Degli ultimi mesi, invece, il caso più recente, che ha visto condannato a sei anni e quattro mesi don Roberto Elice, parroco palermitano che ha confessato gli abusi commessi su tre minori. In questo caso, era stato lo stesso sacerdote ad informare la Curia del “profondo disagio” che viveva. E anche in questo caso, la Curia non aveva trovato di meglio che trasferire il sacerdote a Roma, in una struttura protetta. Al riguardo, l’ex arcivescovo Romeo, sostenne che non aveva denunciato il sacerdote alla Procura, poiché non era suo compito, che era invece quello di seguire i dettami del diritto canonico. La denuncia, però, l’aveva fatta la madre dei bambini.
Sempre a Palermo, la Cassazione confermò nel 2014 la condanna di don Paolo Turturro. Tre anni per gli abusi denunciati da due ragazzini di 12 e 13 anni. Tra indagini e i tre gradi di giudizio, nel frattempo per uno dei due casi il reato è risultato prescritto e l’iniziale condanna a sei anni e mezzo della Corte d’Appello si è ritrovata ridotta a tre anni in cassazione. In carcere, però. Senza affidamento ai servizi sociali.
Uno dei problemi di chi trova il coraggio di denunciare è proprio la prescrizione. Dieci anni. Che, tra indagini e processi spesso non bastano ad assicurare giustizia, perché nel frattempo l’orologio corre e può accadere che quello che era reato fino a ieri, oggi non lo è più: prescritto. La legge non può più perseguire chi ha commesso un crimine. Che è liberissimo, senza macchia e magari pronto a ricominciare da capo.
La Curia trapanese non è certo da meno rispetto a quella palermitana. Il più noto è il caso di don Sergio Librizzi, condannato a 9 anni per gli abusi commessi sui migranti che si rivolgevano a lui, all’epoca direttore della Caritas di Trapani, per il suo ruolo all’interno della Commissione territoriale per il riconoscimento dello status di asilo politico. Altre accuse di abusi sono piovute da alcuni ex studenti del seminario di Trapani che frequentavano la struttura quando Librizzi ne era rettore, fino a giugno del 1998. Sembra proprio che siano stati gli abusi sui seminaristi il motivo per cui l’allora vescovo di Monreale Francesco Micciché abbia “trasferito” il sacerdote dal seminario alla guida della Caritas. Promoveatur ut amoveatur.
Ma vale la pena ricordare anche mons. Mustazza, di Valderice, che nel 2011 ha patteggiato un anno e dieci mesi per atti di libidine e induzione alla prostituzione nei confronti di alcune ragazzine di dodici anni. Che fine a fatto don Mustazza? E’ parroco della chiesa di Purgatorio (nomen omen?), a un tiro di schioppo da Valderice. Non serve aggiungere altro.
Emblematico è anche il caso del frate marsalese Biagio Alberto Almanza, condannato anni fa a Milano per pedofilia e ricondannato a Marsala (condanna confermata sia in Appello che in Cassazione) per violenza sessuale su un bambino di dodici anni.
A Sciacca, confermata la sentenza di condanna anche in appello per frate Davide Mordino: nove anni e otto mesi per aver abusato di quattro ragazzini. A condire la posizione non certo felice, c’è l’accusa di appropriazione indebita rivolta al frate, che secondo l’accusa ha sottratto soldi alla parrocchia per “pagare” le prestazioni sessuali con i minori.
A Messina, don Giovanni Bonfiglio invece, s’è visto spintonato e poi schiaffeggiato da un ragazzino a cui, sul tram, aveva ripetutamente palpeggiato le parti intime. Per sedare gli animi dei passeggeri è stato necessario l’intervento di due volanti, che hanno raccolto le dichiarazioni del minore, del sacerdote e dei presenti. L’episodio risale a maggio di quest’anno e sembra che l’ Ufficio prevenzione generale della Questura stia ancora conducendo indagini.
Sempre a Messina, il frate domenicano Adriano Stambè, 42 anni, sfoggiava sul profilo facebook una serie di foto con papa Francesco. Nei reconditi recessi del pc, però, nascondeva ben altre immagini. Incastrato da una chat con un finto camionista gay, il frate confessa orge fra prelati e con escort minorenni, rigorosamente maschi. E poi tira fuori le foto di un bambino di sei anni. Il frate è stato denunciato un anno e mezzo fa, e immediatamente trasferito non si sa dove. Non è noto lo stato delle indagini.
Nel catanese sembra invece che la Curia abbia maggiore controllo sui propri sacerdoti. Pochissimi casi acclarati, tre in tutto.
Il primo risale al 1994. O meglio, la denuncia risale all’epoca, mentre i fatti risalgono alla metà degli anni ’70. E l’accusa è deflagrante, perché avviene in televisione. Una donna denuncia pubblicamente gli abusi subiti durante l’adolescenza da padre Antonino Visalli, e racconta di aver informato dei fatti anche all’arcivescovo Bommarito. Ricevendo il solito invito al silenzio e ad “avere pazienza”.
Più recente il caso di don Carlo Chiarenza. A denunciare gli abusi è stato Teo Pulvirenti, un ricercatore catanese che vive negli Stati Uniti e ha trovato la forza di raccontare le violenze subite solo a 33 anni. Per la giustizia ordinaria, il reato era chiaramente prescritto, ma non per il diritto canonico, che ha deciso di prendere provvedimenti: 50.000 euro di risarcimento alla vittima, sospensione dal servizio e allontanamento dalla diocesi. Anche se siamo ancora ben lontani dalla riduzione allo stato laicale.
L’ultimo caso noto riguarda Randazzo, comune di poco più di diecimila anime nel catanese. I tentativi di abuso sono cominciati nel 2004 ma sono stati denunciati dieci anni dopo. Il sacerdote in questione è don Vincenzo Calà. La vicenda ha riguardato un ragazzo figlio di amici del prelato, che il sacerdote ha tentato ripetutamente di abusare, fino alla denuncia del ragazzo.
I tentativi di violenza di don Vincenzo furono prima confessati in famiglia, che stentò molto a credere al ragazzo, e poi al vescovo Pio Vigo, che liquidò la vicenda con una battuta inopportuna e non prese alcun provvedimento. Infine, arrivò la denuncia, le indagini, la richiesta di rito abbreviato da parte del sacerdote (che comporta lo sconto di un terzo della pena) e infine la condanna a 4 anni. Il paese si schierò quasi completamente dalla parte del sacerdote, gridando alla calunnia.
E’ per non affrontare quella vergogna, quel non essere creduti, quella colpevolizzazione, quella derisione, che spesso, troppo spesso, non si denuncia. E la domanda resta sempre la stessa: quanto c’è ancora di sommerso?
http://www.tribupress.it/preti-orchi-un-cancro-che-divora-anche-la-sicilia/