Per poter approfondire la posizione di un prete coinvolto nell’ultima inchiesta che ha scosso Roma su un giro di prostituzione di giovani rom alla stazione Termini, gli agenti della Pol-fer avevano bisogno di alcune informazioni dal Vaticano. Ma la rogatoria inviata nel dicembre 2014 non ha avuto ancora risposta. Intanto sono passati cinque mesi, e le indagini della Procura capitolina, di cui sono titolari i pm Maria Monte-leone e Cristiana Macchiusi, non si sono fermate davanti a questo ostacolo.
E COSÌ QUALCHE giorno fa, otto persone sono finite ai domiciliari, due in carcere. In totale gli indagati sono 17. È questo un altro aspetto di un’inchiesta difficile per i magistrati non solo per i minori (all’epoca dei fatti) coinvolti, ma anche perchè avere informazioni oltrete-vere – nonostante il corso “tolleranza zero” inaugurato da Papa Bergoglio – spesso richieda risposte con tempi lunghi, quando arrivano.
Ma c’è anche un altro aspetto finito nell’ordinanza di custodia cautelare del gip Chiara Giammarco del 15 maggio, che dovrà essere chiarito. Mentre i pm indagano sul questo caso, si imbattono in un racconto di una testimone che rivela di aver visto un prete (un altro rispetto a quello della rogatoria) entrare nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, nella centrale Piazza della Repubblica, con alcuni ragazzi. Il verbale risale al 3 ottobre 2014. La donna riconosce uno degli indagati e afferma: è “un prete che due o tre anni fa lavorava presso la chiesa Santa Maria degli Angeli. Al riguardo, sono certa delle mie affermazioni in quanto all’epoca lavoravo ancora come meretrice proprio nella zona della citata piazza.
In alcune occasioni, la sera, ho notato lo stesso che faceva entrare dei ragazzini rumeni da un’entrata secondaria della struttura. Scambiando qualche parola con uno di quei ragazzini, una volta ho appreso che quell’uomo li pagava 20 euro per consumare rapporti sessuali, ma non sono in grado di aggiungere altro né di mettervi in contatto con tale minore”.
Per il gip però la testimonianza della donna “per quanto attendibile” rivela una vicenda che lei stessa ha appreso de relato. Quei 20 euro però tornano altre volte nei racconti dei giovani romeni. Riferendosi a uno degli indagati, un giovane rom racconta: “Viene da Milano, Napoli… non lo so. (…) non ci sono andato perché non c’era tempo per stare. Mi avrebbe pagato 20 euro”. A volte però andava anche peggio. Un indagato al telefono dice: “Adesso sto sempre al binario 29 (…) Perché c’ho uno fisso che me vie’ con 10 euro e me lo tengo, hai capito. Anzi te lo volevo far vedere chi era, almeno te lo facevi pure te!”. Proposta che l’interlocutore sembra rifiutare.
È QUESTO il tenore delle intercettazioni. Parole che gli investigatori incrociano con i racconti e con i risultati degli appostamenti della Polfer. Tuttavia il gip rigetta alcune richieste di misura cautelare dei pm (due soli sono finiti in carcere e altri 8 ai domiciliari) soprattutto per alcune contraddizioni nei racconti.
I ragazzi, infatti, oltre che avere difficoltà nell’espri-mersi in italiano corretto, provano un forte senso di vergogna nel raccontare di essersi prostituiti con un uomo, soprattutto perché la loro cultura non accetta l’omosessualità. Scrive il gip: “I minori temono di dimostrare veri e propri rapporti consolidati di tale tipologia per non essere additati nel loro gruppo di appartenenza” come gay o banulu, come registravano nelle rubriche dei cellulari i numeri degli uomini che incontravano. Elementi questi che spiegano quanto l’indagine sia stata complicata, non solo per la delicatezza delle vicende, ma anche per la gestione delle informazioni. Nella rogatoria di dicembre in Vaticano ad esempio gli uomini della Polfer chiedevano solo se uno degli indagati fosse un prete e quale fosse la sua parrocchia. Avevano già provato ad avere risposte dall’ispettorato Vaticano. Ma era necessaria una rogatoria. Per ora senza risposta.
http://www.magazinedonna.it/ragazzini-rom-e-preti-pedofili-il-vaticano-non-risponde-ai-pm/21150
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