Extra ecclesiam nulla salus: il diritto sospeso tra potere e sovranita’
Le dichiarazioni dell’avvocato Shea, primo promotore delle cause istruite dalla giustizia americana contro Ratzinger. L’inchiesta parte dai presunti casi di pedofilia avvenuti negli Stati Uniti. Cosa fa l’Unione Europea, cosa ne pensa don Di Noto.
4/5/2007
inchiesta di Silvio Nocera
Continua la via crucis della Chiesa cattolica: un attacco mediatico di portata rilevante ha investito nelle scorse settimane i più alti porporati vaticani ed è culminato nelle intimidazioni subite da Mons. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cui sarebbe stata recapitata un busta contenente un proiettile.
Lo scorso 30 aprile Giorgio Napolitano ha dichiarato al Corriere della Sera che “l’Italia non lascerà solo monsignor Angelo Bagnasco di fronte alle inammissibili, vili minacce di oscura provenienza di cui è stato fatto oggetto”.
Le minacce restano, l’attacco frontale altrettanto. E, se la miccia che ha acceso la polveriera potrebbe essere la querelle sui DICO e le bagarres parlamentari che ne sono seguite, le posizioni oltranziste su cui si è arroccato il nuovo papato non rendono facile il dialogo in un momento in cui l’Italia avrebbe bisogno di quel clima di concordia auspicato qualche tempo addietro dal Presidente della Repubblica.
Così, se gli attacchi laici si moltiplicano, l’Osservatore Romano tuona, in merito alle dichiarazioni fatte da Andrea Rivera durante il concerto del primo maggio, che “è terrorismo lanciare attacchi alla Chiesa. È terrorismo alimentare furori ciechi e irrazionali contro chi parla sempre in nome dell’amore, l’amore per la vita e l’amore per l’uomo. È vile e terroristico lanciare sassi questa volta addirittura contro il Papa, sentendosi coperti dalle grida di approvazione di una folla facilmente eccitabile. Ed usando argomenti risibili, manifestando la solita sconcertante ignoranza sui temi nei quali si pretende di intervenire pur facendo tutt’altro mestiere”.
La lettera episcopale e il Crimen Sollicitationis
Extra ecclesiam nulla salus: eppure, oggi più che mai, sotto la pressione di un laicismo dilagante, dell’avanzata musulmana, dell’allontanamento progressivo della società civile dai precetti dottrinali, il suo ecumenismo vacilla. E riemergono le vecchie ferite aperte nel grembo di Santa Madre Chiesa.
Una recente inchiesta di Pino Nicotri, apparsa su Blog di Repubblica l’8 aprile scorso, ha denunciato in un lungo articolo il comportamento del Vaticano riguardo i presunti casi di pedofilia avvenuti negli Stati Uniti da parte di sacerdoti che, secondo la magistratura texana, sarebbero stati coperti, direttamente o indirettamente, dall’allora cardinale Ratzinger. A margine, tra l’altro, dello scandalo sull’epidemia di Aids che ha coinvolto un gran numero di prelati americani.
La lettera episcopale “De Delictis Gravioribus” inviata il 18 maggio 2001 dall’allora capo della Congregazione per la Dottrina della fede, Joseph Ratzinger, per dettare il procedimento da seguire nel caso in cui si appurino crimini di natura sessuale perpetrati da un prelato, e in base a cui i giudici texani hanno chiesto la sua incriminazione, richiamava il Crimen Sollicitationis del 1962.
Tale istruzione, rimasta segreta fino al 6 agosto 2003, data in cui la rete americana CBS la ha reso nota, veniva indirizzata a tutti i Patriarchi, gli Arcivescovi, i Vescovi e Ordinari di altre sedi, anche di Rito Orientale, sul modo di procedere nelle cause di sollecitazione, fornisce tassative istruzioni da adottare in materia di crimini sessuali commessi da membri del clero nei confronti di fedeli.
Commissione Europea: non interferiamo con gli affari nazionali.
Nella sua interrogazione al Parlamento Europeo del 20 agosto 2003, l’on. Maurizio Turco dichiarava che da tale documento emerge che la Santa Sede ha prescritto, adottato e fatto adottare, proposto ed imposto alle suddette autorità ecclesiastiche comportamenti volti a sottrarre ad ogni pubblica conoscenza e alla giustizia gli abusi sessuali compiuti da membri del clero, pena la scomunica.
Con la lettera apostolica del 30 aprile 2001 “Motu Proprio Datae Quibus Normae De Gravioribus Delictis” a firma di Giovanni Paolo II e con l’epistola citata, risultavache la “Crimen Sollicitationis è stata, almeno in queste recenti occasioni, richiamata e ribadita a fronte dell’estendersi ed aggravarsi nei decenni di questa vera e propria piaga del mondo ecclesiastico cattolico e degli scandali conseguenti”.
E concludeva che, “a riprova, anche se non necessaria, da molte parti vengono denunciati il rifiuto di collaborare con la giustizia e con le indagini di polizia, nonché l’ostruzione della giustizia”.
E se, da una parte, la Commissione rispondeva di non avere “la competenza per adottare i provvedimenti suggeriti dagli onorevoli parlamentari, né di intervenire nelle relazioni diplomatiche degli Stati membri”, l’avvocato Shea, primo promotore delle cause istruite dalla giustizia americana contro Ratzinger in seguito ai fatti di pedofilia in seno alla chiesa cattolica statunitense, ha affermato che “la reale esistenza di tale documento rivela gli enormi problemi che ha la Chiesa in relazione all’integrità del confessionale in cui spesso e volentieri, ad esempio, i fedeli vengono sollecitati a conversazioni sessuali. In secondo luogo, il Crimen costituisce un manuale che indica come costruire un processo fasullo e segreto per i preti colpevoli di detti reati di modo da farli uscire puliti”.
Sovranità e diritto: le parole di Bertone
Una questione di diritto. E di sovranità. Perché proprio in occasione di una seconda interrogazione parlamentare del 25 luglio 2006, questa volta al Parlamento Italiano, lo stesso on. Turco ricorda che il cardinale Tarcisio Bertone, all’epoca dei fatti Segretario della «Congregazione per la dottrina della Fede, in una intervista rilasciata nel febbraio 2002 al mensile «30 giorni», diretto dal sen. Giulio Andreotti, ebbe a dire che «Le Norme di cui stiamo parlando si trovano all’interno di un ordinamento giuridico proprio, che ha un’autonomia garantita, e non solo nei Paesi concordatari. Non escludo che in particolari casi ci possa essere una forma di collaborazione, qualche scambio di informazioni, tra autorità ecclesiastiche e magistratura. Ma, a mio parere, non ha fondamento la pretesa che un vescovo, ad esempio, sia obbligato a rivolgersi alla magistratura civile per denunciare il sacerdote che gli ha confidato di aver commesso il delitto di pedofilia. Naturalmente la società civile ha l’obbligo di difendere i propri cittadini. Ma deve rispettare anche il «segreto professionale» dei sacerdoti, come si rispetta il segreto professionale di ogni categoria, rispetto che non può essere ridotto al sigillo confessionale, che è inviolabile».
Tra documenti segreti e verita’ taciute
E dato che il Crimen fu allora segretato per molto tempo e mai pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Santa Sede in conformità con il canone 8 § 1 del Titolo I del «Codice di diritto canonico» («Le leggi ecclesiastiche universali sono promulgate con l’edizione nella Gazzetta ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis, a meno che in casi particolari non sia stato stabilito un modo diverso di promulgare …»), i dubbi si infittiscono. Tanto più che l’Istruzione era destinata ad essere «diligentemente conservato nell’archivio segreto della curia», con la quale si impone il silenzio perpetuo, pena la sospensione «a divinis», a tutte le persone coinvolte in processi in materia di crimini sessuali commessi da membri del clero.
La Chiesa intanto resta cauta da quando la questione è tornata alla ribalta con i fatti recenti che hanno scatenato una bufera sulla Curia di Firenze. Ma, se, secondo Shea, “è vero che la lettera episcopale del 2001 richiama il Crimen e la sua nota 3, e’ importante sottolineare come, nella formula E dell’Istruzione, il processo di interrogazione e’ manipolato in modo da condurre la vittima ad affermare che il motivo per cui sta smascherando il prete e’ quello di liberare la propria coscienza”.
Mecacci: la questione dell’immunità papale
Qualora fosse vero due piani distinti verrebbero a sovrapporsi pericolosamente: quello morale e quello giudiziario. Un prete che si macchia di pedofilia si rende due volte colpevole: prima di fronte a Dio e poi di fronte agli uomini. E se la morale è di competenza della Chiesa, i crimini pertengono alla giustizia laica. Matteo Mecacci, osservatore del partito radicale transnazionale alle Nazioni Unite, afferma in proposito che “il fatto che la Chiesa Cattolica e i suoi atti siano, in alcuni casi, equiparati a quelli di uno Stato, fa si’ che gli esponenti politici che rappresentano questo Stato-Chiesa godano di privilegi ed immunità che sono negati a tutte le altre confessioni religiose. La vicenda dall’immunità garantita dal Governo statunitense a Papa Ratzinger, in quanto Capo di Stato del Vaticano, dal processo avviato dall’avvocato Shea in Texas con l’accusa di aver ostruito la giustizia dal poter perseguire le violenze sessuali commesse da esponenti della Chiesa, ne è la prova manifesta”.
Don Di Noto: la lotta alla pedofilia e la posizione della Chiesa
Per parte sua Don Fortunato Di Noto, sacerdote impegnato sul problema pedofilia e presidente dell’associazione Meter, per parte sua afferma di “non essere convinto che la Chiesa non si sia esposta: le diocesi americane si son dissanguate per risarcire le vittime di abusi sessuali e le loro famiglie. Se la Chiesa ha una colpa, questa risiede nel fatto che non e’ stata in grado di gestire il caso”. Anche perché “i nomi dei 4962 preti pedofili statunitensi sono stati pubblicati in un elenco a disposizione su internet (?)”. E sulla questione della competenza giuridica e giudiziaria sottolinea che “noi preti siamo cittadini degli stati sovrani in cui risiediamo. Non facciamo parte di uno stato a se stante. Per cui siamo soggetti alla giurisdizione della procura civile laddove il Tribunale ecclesiastico si occupa di questioni religiose”. Ci tiene a sottolineare, Don Di Noto, che la posizione della Chiesa a riguardo è sempre stata netta fin dal IV sec. d.C. quando “fu stabilita con il Concilio di Elvira l’espulsione dei prelati che abusano dei bambini”. Ma aggiunge che “un vescovo che venga a sapere di un ipotetico crimine di pedofilia commesso da un suo sacerdote ha il dovere di disporre accertamenti per quanto è in suo potere e a partire da una presunzione di innocenza. Che poi quel vescovo non sia in grado di gestire la faccenda, è un altro paio di maniche”.
Diritto, dogma e fede
Eppure la posta in gioco è molto più alta dell’accusa o della punizione di un singolo sacerdote. Perché si tratta di una questione di sovranità: è vero che un prete è cittadino dello stato sovrano di cui ha la cittadinanza, ma è altrettanto vero che un cardinale risponde solo al Vaticano. Ed è vero che quest’ultimo ha un ordinamento giuridico proprio, riconosciuto non solamente dai paesi concordatari, che, in quanto tale, si fonda sul principio di autonomia. Ed in maniera indiretta su quello di non ingerenza. Ora, il fatto che un vescovo non sia tenuto ad informare le autorità civili competenti rispetto ad un caso di presunta pedofilia di un parroco, è assolutamente coerente con i principi giuridici esposti dal cardinale Bertone: è, per dirla in gergo, una questione di primarietà di fonti del diritto. Un diritto che, se da una parte si scontra con la magistratura civile, dall’altra si trincera dietro il segreto inviolabile del confessionale. Segreto, quest’ultimo, che aggiunge la morale alla naturale deontologia richiesta da qualsiasi altra categoria professionale.
E quando il dogma si insinua nei fatti umani le possibilità sono solo due: accettarlo o rifiutarlo in toto. Perché Dio vede e provvede per ieri, oggi e domani. A divinis. Ma se Lui perdona, gli uomini no.
Silvio Nocera
http://www.7magazine.it/new.asp?id=1069
Fonti
http://associazionemeter.it
http://corriere.it
http://nicotri.blogautore.espresso.repubbl…ovinereste-mai/
Approfondimenti
Per il testo integrale dell’istruzione Crimen Sollicitationis:
http://www.maurizioturco.it/vaticano/doc_1962/doc_1962.htm
Allegato
Il testo integrale della lettea episcopale.
«LETTERA inviata dalla Congregazione per la dottrina della fede ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica e agli altri ordinari e prelati interessati, circa I DELITTI PIU’ GRAVI riservati alla medesima Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001
Per l’applicazione della legge ecclesiastica, che all’art. 52 della Costituzione apostolica sulla curia romana dice: “[La Congregazione per la dottrina della fede] giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengano a essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio”, era necessario prima di tutto definire il modo di procedere circa i delitti contro la fede: questo è stato fatto con le norme che vanno sotto il titolo di Regolamento per l’esame delle dottrine, ratificate e confermate dal sommo pontefice Giovanni Paolo II, con gli articoli 28-29 approvati insieme in forma specifica.
Quasi nel medesimo tempo la Congregazione per la dottrina della fede con una Commissione costituita a tale scopo si applicava a un diligente studio dei canoni sui delitti, sia del Codice di diritto canonico sia del Codice dei canoni delle Chiese orientali, per determinare “i delitti più gravi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti”, per perfezionare anche le norme processuali speciali nel procedere “a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche”, poiché l’istruzione Crimen sollicitationis finora in vigore, edita dalla Suprema sacra Congregazione del Sant’Offizio il 16 marzo 1962, doveva essere riveduta dopo la promulgazione dei nuovi codici canonici.
Dopo un attento esame dei pareri e svolte le opportune consultazioni, il lavoro della Commissione è finalmente giunto al termine; i padri della Congregazione per la dottrina della fede l’hanno esaminato più a fondo, sottoponendo al sommo pontefice le conclusioni circa la determinazione dei delitti più gravi e circa il modo di procedere nel dichiarare o nell’infliggere le sanzioni, ferma restando in ciò la competenza esclusiva della medesima Congregazione come Tribunale apostolico. Tutte queste cose sono state dal sommo pontefice approvate, confermate e promulgate con la lettera apostolica data in forma di motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela.
I delitti più gravi sia nella celebrazione dei sacramenti sia contro la morale, riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, sono:
- I delitti contro la santità dell’augustissimo sacramento e sacrificio dell’eucaristia, cioè:
1° l’asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate:
2° l’attentata azione liturgica del sacrificio eucaristico o la simulazione della medesima;
3° la concelebrazione vietata del sacrificio eucaristico assieme a ministri di comunità ecclesiali, che non hanno la successione apostolica ne riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale;
4° la consacrazione a scopo sacrilego di una materia senza l’altra nella celebrazione eucaristica, o anche di entrambe fuori della celebrazione eucaristica; - Delitti contro la santità del sacramento della penitenza, cioè:
1° l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo;
2° la sollecitazione, nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione, al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, se è finalizzata a peccare con il confessore stesso;
3° la violazione diretta del sigillo sacramentale; - Il delitto contro la morale, cioè: il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età.
Al Tribunale apostolico della Congregazione per la dottrina della fede sono riservati soltanto questi delitti, che sono sopra elencati con la propria definizione.
Ogni volta che l’ordinario o il prelato avesse notizia almeno verosimile di un delitto riservato, dopo avere svolte un’indagine preliminare, la segnali alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, a meno che per le particolari circostanze non avocasse a sé la causa, comanda all’ordinario o al prelato, dettando opportune norme, di procedere a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale. Contro la sentenza di primo grado, sia da parte del reo o del suo patrono sia da parte del promotore di giustizia, resta validamente e unicamente soltanto il diritto di appello al supremo Tribunale della medesima Congregazione.
Si deve notare che l’azione criminale circa i delitti riservati alla Congregazione per la dottrina della fede si estingue per prescrizione in dieci anni. La prescrizione decorre a norma del diritto universale e comune: ma in un delitto con un minore commesso da un chierico comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18° anno di età.
Nei tribunali costituiti presso gli ordinari o i prelati possono ricoprire validamente per tali cause l’ufficio di giudice, di promotore di giustizia, di notaio e di patrono soltanto dei sacerdoti. Quando l’istanza nel tribunale in qualunque modo è conclusa, tutti gli atti della causa siano trasmessi d’ufficio quanto prima alla Congregazione per la dottrina della fede.
Tutti i tribunali della Chiesa latina e delle Chiese orientali cattoliche sono tenuti a osservare i canoni sui delitti e le pene come pure sul processo penale rispettivamente dell’uno e dell’altro Codice, assieme alle norme speciali che saranno date caso per caso dalla Congregazione per la dottrina della fede e da applicare in tutto.
Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio.
Con la presente lettera, inviata per mandato del sommo pontefice a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, ai superiori generali degli istituti religiosi clericali di diritto pontificio e delle società di vita apostolica clericali di diritto pontificio e agli altri ordinari e prelati interessati, si auspica che non solo siano evitati del tutto i delitti più gravi, ma soprattutto che, per la santità dei chierici e dei fedeli da procurarsi anche mediante necessarie sanzioni, da parte degli ordinari e dei prelati prelci sia una sollecita cura pastorale.
Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001.
Joseph card. Ratzinger, prefetto.
Tarcisio Bertone, SDB, arc. em. di Vercelli, segretario»
autore: Silvio Nocera
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